RAPA NUI, L’ISOLA DI PASQUA

Rapa Nui, chiamata anche Isola di Pasqua, Avevo portato con me, oltre alla fida Leica M6 con 35 e 90mm, anche una R6.2, completa di Super Elmar 15/3,5 (820g) e Apo Telyt 180/3,4 (750g).
Mi ero fatto l’idea, preparandomi al viaggio, che un super grandangolo e un tele moderato mi sarebbero stati utili: avevo infatti notato, in alcuni libri da me consultati, di particolari scorci dell’isola che non sembravano facilmente fotografabili con ottiche normali. Anche il 24mm mi sembrava corto: alla fine decisi di strafare e di portarmi quel chilo e mezzo di vetro e metallo, ovvero i due obiettivi sopraccitati.

Inizialmente non ebbi molte occasioni di utilizzare le due ottiche: il 35mm sulla M6 era più che sufficiente per la maggior parte delle situazioni, ma speravo sempre nel giorno seguente.
In effetti, una volta arrivati in cima ai 400 metri del bordo del cratere spento di Rano Kau, pieno di laghetti sul fondo, mi accorsi subito che l’occasione dell’impiego del 15mm era finalmente arrivata.

Il 28mm, massima focale grandangolare del suo zoom, non riusciva minimamente a coprire l’enorme ampiezza della caldera del vulcano, ma anzi lo mortificava, con un angolo di campo del tutto insufficiente. Invece il 15mm, con i suoi 110° di angolo di campo, restituiva pienamente la sensazione di vuoto, grandezza e mistero che il luogo magicamente trasmetteva. Lo sguardo che il tedesco mi restituì, una volta staccatosi a fatica dalla sbalorditiva vista ipergrandangolare, diceva tutto: meraviglia, comprensione e rispetto per la scelta. L’occhiata che diede alla mia borsa fotografica ora era piena di curiosità e interesse. Così tirai fuori anche il 180mm e mi diedi a riprendere il bellissimo pattern dei laghetti azzurri tra la vegetazione, che, grazie al  tele, diventavano dei disegni astratti.

Nei giorni seguenti ebbi ancora diverse possibilità di usare il 15mm. Sul cratere solitario di Puna Pau, ove il lago che occupava la caldera era pieno di piante di totora, oppuredalla sommità della costa che precipita  a picco verso l’isolotto cerimoniale (ove si svolgeva la rappresentazione del mito dell’Uomo Uccello) che si trova di fronte al villaggio di Orongo, per restituire quel senso di spazio e di solitudine infinita, che dona quest’isola sperduta nell’immensità dell’Oceano Pacifico.

Anche alcuni giganteschi Moai, le grande statue caratteristiche di Rapa Nui, riprese con il 15mm apparivano in tutta la loro misteriosa magnificenza, grazie anche al gioco di nuvole che l’enorme angolo di campo poneva in evidenza.

Rapa Nui non è solo un lontano immaginario ma una fantastica realtà, è il simbolo stesso del mistero, di come una civiltà sia approdata, si sia sviluppata e autodistrutta in un’isola lontana 2000 chilometri da qualunque altra terra.

Pierpaolo Ghisetti @ 07/2011
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