ALLA SCOPERTA DEI SENTIERI SACRI IN TIBET

Uno straordinario viaggio in bicicletta (più di 1000 Km!) alla scoperta dei sentieri sacri in Tibet. Foto, impressioni di viaggio ed i consigli di Alessandra Meniconzi per ripetere l’esperienza, dove alloggiare e come comportarsi per non avere sorprese.

Nadir Magazine © Alessandra MeniconziEsistono ancora, al mondo, luoghi che emanano un’atmosfera magica: il Tibet è uno di questi. Sicuramente la lettura dei racconti dei primi esploratori occidentali stimolò in me il desiderio di visitare questa terra così lontana. In particolare sognavo il Grande Tibet storico: l’Amdo e il Kham, oggi incorporati nelle province cinesi del Qinghai, del Sinchuan, del Gansu e dello Yunnan.

Stregata dalla bellezza fantasmagorica di questa landa, racchiusa da aspre catene montuose alternate a verdi praterie e solcata da irruenti fiumi come il Salween, il Mekong, lo Yangtze, il fiume Giallo, lo Yalong, a distanza di un anno decisi di ritornarvi in compagnia di un amico, utilizzando come mezzo di trasporto la bicicletta. L’affollata e turbolenta città industriale di Lanzhou ci ospita prima della partenza.

Nadir Magazine ©In questa città cantiere, adagiata lungo le rive del fiume Giallo, non rimane ormai più alcun segno del suo glorioso passato di importante guarnigione lungo la Via della Seta. Ed è proprio qui che inizia il nostro ambizioso programma di percorrere la carrozzabile che collega Lanzhou alla città di Chengdu, nella provincia cinese del Sinchuan.

PIU’ DI MILLE CHILOMETRI IN BICICLETTA
Davanti a noi ci aspettano più di mille chilometri da percorrere su strade asfaltate e sterrate, con circa una ventina di chili di bagaglio, distribuiti sulle ruote posteriori della bici. Affrontiamo quotidianamente, in sella alla bici, lunghe e faticose giornate. Di regola ci alziamo all’alba, e quando possiamo consumiamo una veloce e frugale colazione a base di vecchi biscotti, té o caffelatte in polvere. Il numero di ore e chilometri da percorrere giornalmente è di volta in volta un’incognita. Si rimane in sella anche per 10 ore, comprese le brevi fermate per visitare i monasteri e per il pasto. Spesso, per la forte insolazione, l’asfalto si scioglie divenendo una sorta di striscia appiccicosa che rallenta la nostra velocità. Ma per faticosa che sia la giornata, l’incanto del paesaggio ci ricompensa appieno. Tempo e spazio in questo contesto non hanno importanza. Quello che conta è entrare in perfetta sintonia con la natura e con la popolazione. Ovunque andiamo, non veniamo risparmiati dalla curiosità popolare. Un gran numero di monaci di tutte le età, mercanti, giocatori di biliardo si stringono in un cerchio sempre più stretto attorno a noi, affascinati dalle nostre biciclette.

Nadir Magazine © Alessandra MeniconziPer la vastità del territorio tibetano non c’è da stupirsi di alcune differenze, di tipo etnico, linguistico e per il costume, fra gli stessi tibetani. Quelli che vivono nella regione orientale sono suddivisi in diversi gruppi: tra i più importanti troviamo a nord gli Amdo-wa, mentre a sud i Kham-pa. Tribù ritenute selvagge dai tibetani stessi e dedite un tempo al brigantaggio, dove furti, omicidi, razzie e sparatorie erano all’ordine del giorno. Formidabili guerrieri, legati al mitico personaggio di Gesar, cavaliere eroe che la leggenda vuole conquistatore di tutta l’Asia Centrale, non si sono mai piegati alle mire espansionistiche dei cinesi, tenendo una certa indipendenza sia da Lhasa che da Pechino. Negli anni ’50 hanno ferocemente combattuto contro gli invasori cinesi ed hanno avuto un ruolo determinante anche nella fuga del Dalai Lama. Oggi che le scorrerie sono terminate, la loro fama di guerrieri sopravvive nella memoria, nelle leggende, nei racconti degli anziani, e il loro aspetto selvaggio non incute più timore. Tibetani dalla carnagione scura, dall’alta statura, dai lineamenti affilati che esibiscono i loro canini in oro dietro ad intriganti sorrisi, ricordano gli abitanti del selvaggio West americano. Uomini e donne amano mettere in mostra tutto il loro patrimonio: collane di turchesi, coralli ed ambre; bracciali, anelli ed orecchini d’argento tempestati di pietre semipreziose. Bizzarre sono le acconciature degli uomini Kham-pa che arrotolano, assieme alle lunghe trecce di capelli ingarbugliati, fasce di fili di lana rossa, arancione o nera, applicandovi sopra grossi anelli d’avorio e monili d’argento finemente intarsiato. E quasi a voler evocare legami con il West americano tutti portano uno o più cappelli in feltro, stile cow-boys. Le donne dividono la loro capigliatura in 108 treccine fissandole sul fondo con una striscia di stoffa alta circa 10 cm, adornata da centinaia di coralli e turchesi; oppure applicano sulla testa lunghe strisce di stoffa, ornate con grosse ambre.

Le strade del Tibet orientale sono sterrate…

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…o asfaltate! Molto meglio lo sterrato, perché appena il sole raggiunge lo zenit l’asfalto si scioglie e la strada diventa estremamente appiccicosa, perciò l’asfalto si attacca alle ruote (sassolini compresi) rallentando la velocità.

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LABRANG: L’INGRESSO AL MONDO BUDDHISTA
Violente e vorticose tempeste di polvere preannunciano l’arrivo della pioggia. Un timido raggio di sole riesce ad aprirsi un varco nella fitta coltre di nuvole infiammando i tetti della città monastica. Il monastero di Labrang Tashkyl appartiene alla setta dei Gelukpa, quella dei beretti gialli, votata al celibato e ligia alle tradizioni. Quello di Labrang oltre ad essere il monastero più grande dell’Amdo è anche una delle sei strutture religiose più importanti del Tibet insieme a Ganden Sera, Drepung, Tashilhumpo e Ta’er.

Ogni giorno, alle prime luci dell’alba, la città si risveglia. Da tutte le direzioni affluiscono frotte di pellegrini, che cominciano a camminare in senso orario lungo il periplo del monastero assorti in una litania di preghiere. La religione è il motore che regola ogni attività ed ogni istante della vita quotidiana. Le koras, ovvero i giri che un devoto compie intorno a un luogo sacro, sono impressionanti. Anziani e giovani fanno scorrere tra le dita il rosario di 108 grani, usato sia per accompagnare le preghiere che per contare il numero di koras fatte; oppure ruotano il chökor, la piccola ruota di preghiera contenente i mantra, formule di invocazione trascritte su carta pergamena. Altri ancora per acquistare più meriti e accrescere il proprio karma ad ogni passo si inginocchiano e si sdraiano con il ventre a terra, poi si rialzano, fanno un altro passo e si genuflettono nuovamente.

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Attraversamento del fiume con una speciale imbarcazione costruita con pelli.

LA FINE DI UN SOGNO
Il mare d’erba che si estende ad una ventina di chilometri da Langmusi mise a dura prova anche l’esercito dell’Armata Rossa durante la Lunga Marcia. La realtà selvatica di questa terra paludosa, la pioggia intermittente e il gelido vento freddo sfinirono e decimarono molti uomini. Il panorama è poco diverso da quello che videro i primi esploratori giunti fin qui. Nei loro diari vengono descritte le stesse distese erbose spazzate dai venti dove l’unica presenza umana è quella dei pastori nomadi. La sconfinata prateria è interotta solo da una striscia sterrata e tortuosa. Pedaliamo in un paesaggio avvolto da una nebbia spessa, dove è difficile individuare il confine netto tra terra e cielo, sotto una pioggia torrenziale, in uno scenario vuoto, impressionante e senz’anima viva. L’impressionante massa di gelida acqua, la morsa implacabile del fango e le forti raffiche di vento che schiaffeggiano senza interruzione questo remoto luogo non ci danno tregua.

Dopo una settantina di chilometri di desolazione, allineate lungo la carreggiabile, intravediamo migliaia di tende nere che incombono sul deserto erboso come sinistre ombre. E’ proprio qui che inizia la minaccia più grande del nostro itinerario. Veniamo assaliti da cani robusti e dall’aspetto malsano, addestrati per proteggere gli accampamenti dagli intrusi e tenere lontani i lupi. Veniamo rincorsi e accerchiati più volte. Pedalare in queste condizioni è difficoltoso, siamo ben contenti di essere accolti all’interno di una tenda dove troviamo gradevole ospitalità. Un ragazzino ci induce ad accomodarci su due zolle d’erba. Poi, con la massima disinvoltura si toglie le scarpe per calzare un paio di pantofole quadrettate. Il tepore di una vecchia stufa di ferro, alimentata da piccoli pezzi di legno e sterco, ci consente di riscaldarci ed asciugare i nostri vestiti e le scarpe, ormai completamente inzuppate d’acqua. Il codice d’ospitalità dei nomadi è molto radicato, ci viene offerta una bollente tazza di tè che beviamo con gusto.

Raggiunta Zoige, squallida cittadina cinese, per non mettere a repentaglio le nostre vite decidiamo di non continuare il nostro viaggio verso Chengdu e di far ritorno a Lanzhou. Approffitiamo della breve tregua della pioggia. Inforchiamo nuovamente le nostre mtb per assaporare la fine della giornata e della nostra avventura. L’immobilità e il silenzio di cui l’incantevole scenario è impregnato conquistano la nostra anima. Questa calma apparente in realtà nasconde una meditazione profonda, che qui si trasforma in stato naturale dell’uomo. In lontananza scorgiamo la sagoma di una carovana scomparire nell’infinito deserto d’erba. Con tristezza ci chiediamo per quanto tempo questa gente, fiera e libera, potrà ancora errare nelle sconfinate praterie del Tibet orientale.

Alessandra Meniconzi © 02/2005
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ITINERARIO
Si consiglia di pedalare un’ottantina di chilometri al giorno, e di essere autosufficienti in quanto non esistono punti d’appoggio per acqua, cibo ed eventuali guasti meccanici. In genere il fondo stradale è abbastanza buono anche se l’asfalto tende a diventare molle e appiccicoso durante le ore centrali della giornata.

BICICLETTA
Si raccomanda una bicicletta robusta (rampichino) con copertoni semislick (a sezione centrale liscia e bordi tassellati). Dovete essere autosufficenti per le parti meccaniche.

ATTENZIONE
I cani sono il peggior incontro che si può fare in Tibet soprattutto nelle zone dove ci sono gli accampamenti dei nomadi. E’ bene viaggiare poco distanziati, così da potere utilizzare le biciclette come scudo. Portare con sé fischietti scacciacani, pietre e bastoni.

QUANDO ANDARE
Il clima del Tibet orientale è più mite di quello occidentale e centrale a causa della penetrazione dei venti e delle piogge monsoniche dal sudest asiatico. La miglior stagione per visitare il Tibet Orientale è la primavera, seguita dall’autunno; l’estate è segnata da violenti temporali e l’inverno è rigido e ventoso.

VISTI E PERMESSI
Molte aree, specialmente nel Kham, sono chiuse ai turisti individuali, oppure necessitano di permessi peciali da richiedere agli uffici di polizia (PSB) di Lanzhou o Chengdu.

L’EQUIPAGGIAMENTO
In un solo giorno si possono avere tutte le stagioni! indossate capi comodi e caldi, a strati e possibilmente isolanti. Non dimenticate un cappello, occhiali da sole e crema solare.

SALUTE E VACCINAZIONI
Potrebbero insorgere colpi di calore, insolazioni, mal di montagna o qualche problema intestinale. Occorre pelare la frutta, mangiare verdure solo cotte e filtrare l’acqua. Per le vaccinazioni si consigliano: antirabbica, difterite, tetano, epatite virale A e tifo.

VITTO E ALLOGGIO
Nei grandi centri urbani è possibile trovare alberghi completi di tutti in comfort; nei villaggi invece sono disponibili precarie guest-house con bagni alla turca.